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La Pearl Harbor italiana


(Imbarcazioni alleate in fiamme nel porto di Bari)




Molti di voi leggendo il titolo avranno senz'altro pensato alla notte di Taranto che meriterebbe anch'essa tale nomea data la somiglianza tra i due attacchi.
Un ex marinaio statunitense da me intervistato circa due anni fa e presente nel porto di Bari il giorno dopo dell'attacco aereo mi descrisse l'evento come "The italian Pearl Harbor". Ho preferito quindi utilizzare le parole del diretto interessato per dare un nome a questo articolo che come avrete ormai capito si occuperà del bombardamento del porto di Bari avvenuto il 2 Dicembre 1943.


Kesselring deve scegliere


Nel Settembre 1943 le forze alleate sbarcavano in forze sulla penisola italiana, riuscendo a sconfiggere senza non pochi problemi i tedeschi a Salerno, prendendo così possesso del sud Italia.
Nel frattempo i tedeschi si ritirarono inizialmente sulla linea del Volturno e successivamente in Ottobre sulla ben nota linea Gustav.

Gli alleati con la conquista del sud Italia si preparavano ad iniziare delle importanti operazioni aeree dirette contro i centri industriali tedeschi, utilizzando come base numerosi aeroporti presenti nella zona di Foggia.
Per il rifornimento delle truppe presenti in Italia ed il trasporto dei bombardieri era di vitale importanza il porto di Bari, lasciato praticamente intatto dagli alleati appositamente per farne il loro centro logistico più importante.



(Albert Kesselring)


Albert Kesselring comandante delle forze tedesche in italia in seguito a delle ricognizioni aeree sulla zona decise inizialmente di voler attaccare i vari aeroporti presenti nel foggiano. Il feldmaresciallo riteneva fondamentale riuscire ad allentare il dominio aereo da parte degli alleati e percepiva quei campi d'aviazione come dei potenziali pericoli per la Germania stessa.
Durante una riunione con il suo stato maggiore il generale Von Richthofen comandante della 2. Luftflotte ritenne di non poter organizzare l'attacco ai campi d'aviazione perché non in possesso delle forze necessarie. Propose così a Kesselring un'azione diversa, il bombardamento del porto di Bari che come abbiamo già visto si trattava al tempo di un punto nevralgico della logistica alleata. Richthofen riteneva che l'azione se ben condotta avrebbe paralizzato per qualche tempo i rifornimenti alleati, impedendo così alle forze presenti in Italia di poter condurre operazioni di una qualche importanza.

Kesselring diede quindi il proprio benestare per l'operazione che sarebbe stata condotta da 105 Ju-88 provenienti dagli aeroporti del nord Italia e da Atene.


Inferno a Bari


La difesa anti-aerea di Bari era del tutto insufficiente, il comando alleato ritenne in oltre di essere in pieno controllo dei cieli, la possibilità di un'offensiva nemica dall'aria veniva quindi considerata impossibile. Pochi giorni prima durante una riunione il comandante della Northwest African Tactical Air Force disse i tedeschi avevano perso la guerra aerea e che escludeva categoricamente una qualunque azione da parte della Luftwaffe nel settore del Mediterraneo.

(Uno Ju-88 in volo)


Alle 19:25 del 2 Dicembre 1943 gli Ju-88 tedeschi decollati da vari aeroporti (divenuti 88 a causa di problemi tecnici) si incontrarono trenta miglia a nord-est di Bari.
Il radar posizionato dagli alleati sul tetto di un edificio nei pressi di via Vittorio Emanuele era guasto già da qualche giorno e le squadriglie caccia da ricognizione erano già rientrate. Questa serie di condizioni favorevoli permise ai bombardieri tedeschi di portarsi su Bari senza incontrare alcun ostacolo.

Lo stormo tedesco giunse sull'obiettivo ad una quota bassissima, guidato dalle luci portuali che erano tutte accese per le operazioni di scarico delle navi che erano ancora in corso d'opera.
In pochi istanti il porto di Bari si trasformò in un inferno sulla terra, le bombe centrarono in pieno molte delle imbarcazioni presenti al porto.
Il cargo statunitense "Motley" carico di svariate tonnellate di munizioni ed esplosivi esplose dopo essere stato colpito da una bomba. Come una reazione a catena iniziavano ad incendiarsi anche le navi circostanti.

Nel porto era presente anche il mercantile "Harvey" il cui carico "top secret" rischiava di trasformare il disastro in una catastrofe di dimensioni bibliche.
La nave infatti trasportava un grosso carico di iprite, contenuto in circa 1.400 bombe. Gli alleati credendo possibile un utilizzo di armi chimiche da parte dei tedeschi (cosa che poi non avvenne) si vollero dotare anche loro di questo tipo d'arma da poter utilizzare successivamente come rappresaglia contro gli stessi tedeschi.


(Una nave cargo di tipo "Liberty")


In pochi istanti si consumò la tragedia, l'esplosione della "Motley" investì l'"Harvey" che prese fuoco, una manciata di minuti dopo anche l'"Harvey" col suo carico di iprite esplose. La forza dell'esplosione fu talmente forte che causò l'affondamento di altre due navi nelle vicinanze.
Lo scenario che si presentava nel porto di Bari era agghiacciante, tutto il porto era in fiamme, persino l'acqua bruciava, a causa del carburante riversato in mare e fuoriuscito dai cargo (molte imbarcazioni trasportavano carburante per gli aerei).
decine di militari cercavano di portarsi in salvo nuotando fra le fiamme, non tutti però riuscirono a raggiungere la terra ferma.
I fumi del gas iprite iniziarono a causare ai superstiti ed ai soccorritori gravissimi danni, la maggior parte dei militari lamentava irritazioni agli occhi, ma in un primo momento non venne dato peso alla cosa pensando fosse dovuta al fumo derivato dagli incendi (non tutti sapevano del carico dell'Harvey).


Alle 23:00 l'allarme aereo cessò, ma il porto di Bari continuava a bruciare, molti edifici posizionati nei pressi dell'area portuale avevano le finestre rotte a causa delle forti esplosioni.













Il giorno dopo
Le autorità alleate non avvertirono i soccorritori della presenza dell'Iprite, così facendo molte persone che potevano essere salvate con un trattamento adeguato continuarono a peggiorare fino al sopraggiungere di evidenti segni di avvelenamento. Tuttavia gli alleati cercarono di censurare il più possibile l'accaduto, le acque del porto vennero trattate con una tonnellata di candeggina.
Le voci però correvano, i tedeschi vennero a sapere di quanto accaduto a Bari ed iniziarono anche loro a prepararsi per una eventuale guerra chimica.

Churchill volle comunque tenere la notizia segreta facendo indicare come causa del decesso di molti marinai deceduti a causa delle esalazioni d'iprite "ustioni a causa di azione nemica".

Ben 17 navi vennero affondate dal raid aereo tedesco ed altre 8 risultarono gravemente danneggiate. Il conteggio delle vittime non è preciso, si stimano almeno 1.000 morti da parte militare ed oltre 1.000 quelle civili (tra cui molti serventi italiani del porto).
Il porto di Bari rimase praticamente inservibile per quasi un mese, causando problemi di carattere logistico agli alleati, tornando in piena efficienza solo i primi giorni di Febbraio del 1944.
Le morti documentate causate dall'iprite sono circa 83, tuttavia è possibile che in realtà a causa della volontà di mantenere il segreto riguardo il gas le vittime dell'iprite possano essere molte di più, soprattutto tra i civili che si trovavano non distanti dall'area portuale di Bari. 


A riprova del segreto che cercarono di mantenere gli alleati, il marinaio da me intervistato e presente a Bari in quei giorni alla mia domanda riguardo la presenza di un carico di bombe a gas presenti in una delle navi non fu in grado di darmi risposta, dicendo di non saperne nulla al riguardo. Si limitò a descrivermi la situazione del porto, un enorme accozzaglia di macerie e relitti fumanti, centinaia di cadaveri che galleggiavano in acqua circondati da grandi chiazze di carburante.



D.M.




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