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Eccidio del Gondrand


(I cadaveri degli operai trucidati al cantiere N°1)




Un posto pericoloso

Nel Febbraio 1936 la guerra d'Etiopia era ancora nel vivo, le truppe italiane si apprestavano ad affrontare il nemico in quella che viene comunemente chiamata battaglia dell'Amba Aradam.
In un qualsiasi conflitto la logistica è protagonista assoluta delle strategie dei contendenti, ed un territorio privo di strade e scosceso come quello etiope richiedeva uno sforzo logistico non da poco.
Proprio in quest'ottica nelle retrovie gli italiani iniziarono la costruzione di strade coloniali. 

Presso Mai Lala (Oggi Rama) un villaggio nei pressi del confine tra Etiopia ed Eritrea, la società nazionale trasporti Gondrand aveva dato il via ai lavori di costruzione di una strada di collegamento tra Asmara e Adua in Etiopia.
Il cantiere posizionato non molto distante dal villaggio era stato denominato N°1 ed ospitava oltre all'ingegnere Rocca, sua moglie ed una novantina di operai, tra cui circa settanta italiani.
La zona nonostante fosse non proprio nelle vicinanze del fronte era comunque a rischio, nella campagna d'Etiopia infatti non vi era proprio una linea del fronte continua e le scorribande dei guerriglieri etiopi avvenivano anche in zone ritenute ormai sicure.

L'ingegnere Rocca, responsabile del cantiere chiese ed ottenne una quindicina di fucili mod. 91, così da poter provvedere autonomamente alla difesa del cantiere in caso di azioni ostili da parte degli etiopi.
Nella zona erano comunque presenti dei presidi di truppe italiane, tuttavia il cantiere in se ne era sprovvisto, le truppe di presidio infatti vigilavano lungo dei punti ritenuti passaggi obbligati per chiunque volesse accedere alla zona. Purtroppo, sottovalutarono la naturale conoscenza del luogo da parte dei guerriglieri etiopi.


L'inferno in una notte

Nella notte tra il 12 ed il 13 col favore delle tenebre un numero imprecisato di guerriglieri etiopi (il numero varia dai cento alle seicento unità), riuscì ad avvicinarsi al cantiere N°1 dell'ingegner Rocca.
Molti operai italiani non ebbero neanche il tempo di realizzare cosa stesse accadendo perché uccisi nel sonno, i guerriglieri etiopi senza alcuna pietà e con una ferocia incredibile si avventarono sugli italiani ancora inermi. Una volta dato l'allarme l'ingegner Rocca riuscì a raggiungere il capanno dove erano riposte le armi ed a distribuirle a chi ne fosse ancora sprovvisto (alcuni operai custodivano gelosamente il loro moschetto), anche gli operai eritrei presenti cercarono di difendersi come potevano, molti di loro con badili e strumenti del cantiere.


(Il cantiere dopo l'assalto)


Nonostante la reazione gli operai italiani furono sopraffatti dalla superiorità numerica degli etiopi. L'ingegner Rocca armato con la sua rivoltella una volta capito che i guerriglieri stavano per prendere il sopravvento decise di uccidere la moglie Lidia Maffioli, terrorizzato da cosa avrebbero potuto farle i guerriglieri etiopi se fosse caduta nelle loro mani ancora viva.
Nel giro di un paio d'ore l'azione era cessata del tutto, solo due italiani riuscirono a salvarsi. In tutto le vittime furono sessantotto italiani e diciassette eritrei uccisi nell'assalto al cantiere tra cui il capo cantiere Rocca.


(L'ingegnere Cesare Rocca e la moglie Lidia Maffioli)


L'eccidio venne scoperto da un'unità del 41° Reggimento dell'esercito. Ai soldati italiani la scena che gli si presentò davanti agli occhi era simile a quella di un film dell'orrore. La maggior parte dei cadaveri presentava orrende mutilazioni, gli etiopi avevano cavato gli occhi ed evirato le vittime, alcuni di loro avevano i genitali infilati in bocca, mani mozzate e portate via come trofeo di guerra.
Anche il cadavere della moglie dell'ingegner Rocca, Lidia Maffioli, era stato brutalmente mutilato.

Occhio per occhio

Le truppe italiane, inorridite dalle azioni compiute dagli etiopi contro quelli che erano a tutti gli effetti dei civili, scatenarono una violentissima azione di rappresaglia il più delle volte in completa autonomia.
Già il giorno del ritrovamento molti passanti provenienti dal vicino villaggio di Mai Lala vennero uccisi dagli italiani senza alcun motivo apparente.

Il 7 Marzo le truppe italiane che cercavano di individuare i responsabili dell'eccidio trovarono oggetti provenienti dal cantiere in un'abitazione del villaggio di Adi Anfitò, che si trovava sempre nella zona del cantiere.
Gli ascari libici responsabili del ritrovamento inviarono una staffetta al vicino comando italiano per avvertirli del fatto.
La 109a brigata si precipitò sul posto ed iniziò a devastare il villaggio, la ferocia di queste azioni non fa sicuramente onore ad i nostri militari.
Accecati dalla vendetta i militari italiani trucidarono tutti gli abitanti del villaggio. Molti di loro cercarono di salvarsi rinchiudendosi all'interno della chiesetta del paese, gli italiani bloccarono le porte e diedero fuoco alla chiesa, causando così la morte degli ultimi sopravvissuti.


(L'impiccagione dei capi locali)


La reazione italiana non finì qui, per ordine del comando del 2° corpo d'armata vennero fatti impiccare tutti i capi locali della regione, ritenuti responsabili del massacro al cantiere italiano. Dopo la loro esecuzione, i loro corpi vennero lasciati esposti come monito alla popolazione locale.






D.M.


Fonti bibliografiche
- L'eccidio del cantiere Gondrand (Alberto Caminiti)
- Storia Militare n° 236 (Massimo Zamorani)
- L'Italia coloniale (Silvana Palma)



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